Quanto è bella la scuola fatta e vissuta con passione!

Stamattina, prima di scaricare gli strumenti per l’ultimo incontro in una scuola qui a Forlì, sono andato a salutare i bambini e le maestre di una classe quarta con cui l’anno scorso avevamo fatto il percorso dei tamburi… Sono arrivato nel pieno di un momento del loro progetto di “lettura in piazza”…L’aria era carica di una forte e magica energia, si vedeva la luce negli occhi di tutti i bambini e la gioia e la passione nell’esporsi al pubblico, con la sola mediazione di un leggio e di un microfono (strumento assolutamente non facilitante)…

Il racconto del progetto mi ha entusiasmato: una profonda e condivisa ricerca di testi, la grande attenzione all’esposizione e alla teatralità (con l’evidente risultato di aver colpito nel segno il lato emotivo dei bambini), la speculare grande attenzione alla lettura dei compagni… un pubblico attento e partecipe… (Per non parlare di un bimbo che in questo tipo di percorso ha sicuramente trovato una delle sue strade in cui la propria espressività è più libera di manifestarsi… Un genio!)
Trovo che un progetto del genere sia una potenza didattica in grado di avere enormi benefici sulla qualità della vita quotidiana all’interno della scuola e un valore aggiunto alla fondamentale capacità di “imparare ad imparare”.
In ambito disciplinare, nella mia ignoranza, mi sembra evidente l’importanza di questo percorso in ottica non solo di esposizione ma anche di comprensione del testo (oltre che, ovviamente, di passione alla lettura)…
Insomma, è stato un inizio di giornata assolutamente positivo, che tiene la barra dritta sulla consapevolezza che la scuola di oggi ha ancora tantissime bellissime carte da giocare, nonostante le enormi e sempre maggiori difficoltà…
Grazie di cuore alla passione di tutte le maestre e di tutti i maestri, lo dico prima di tutto da padre…

L’onomatopeica a Djembe-Ta

L’ONOMATOPEICA DI DJEMBE-TA : SUONI E SILLABE

Alla base del mio metodo di insegnamento delle percussioni (mandeng) metto l’uso della voce. Il solfeggio ritmico permette non solo di memorizzare meglio e quindi di supportare la costruzione del linguaggio, comprendere più velocemente gli accenti e le cadenze e la ritmica delle frasi; il valore aggiunto lo si trova lavorando con i bambini e con coloro che non hanno mai incontrato le percussioni o la musica in generale.

La vocale ci dice il colore del suono, la consonante è da scegliere in base alla velocità di esecuzione (es. consonanti labiali per le frasi più lente).

PA (PI) = Suono acuto /Djembe, Kenkeni, Krin

PRA = Flam di suoni acuti

PE = suono medio /Sangban, Djembe, Krin

PRE = Flam di suoni medi

CU = suono grave / Dundun, Djembe

CIA = Suono stoppato / Tutti, Djabara

SA = Suono stoppato a basso volume / Tutti

La sillaba ci dice anche la posizione corrispondente sul tamburo.

 DJEMBE :

Centro = CU

Bordi = PE, PA, CIA o SA (pelle stoppata al centro con una mano)

SANG BAN : Centro = PE (PA)

Bordi (pelle stoppata) = CIA o SA

DUNDUN : Centro = CU

Bordi (pelle stoppata) = CIA o SA

KENKENI : Centro = PI (PA)

Bordi (pelle stoppata) = CIA o SA

KRIN : Centro Lungo = PE

Centro Corto = PA

Bordi = CIA o SA

L’orologio analogico per le posizioni (ore/minuti) dei suoni sul bordo dei tamburi (per Sangban, Dundun e Kenkeni se li si suona verticali con due bastoni): Djembe, Dundun, Sangban, Kenkeni

DJEMBE :

Bordi = ore 5,35

SANG BAN, DUNDUN, KENKENI :

Bordi = ore 11,05 (bastoni all’unisono – normalità, non regola)

IMPARARE AD IMPARARE / Ragionando intorno ai laboratori nelle scuole di Djembe-Ta

Nei miei laboratori di percussioni africane con i bambini, il mio primo obiettivo non è nè musicale nè “interculturale” ma di consapevolezza : la tensione è rivolta a far si che i bimbi si convincano che il metodo che propongo di seguire puó mettere ognuno di loro nelle condizioni di essere AUTONOMO; nella ricerca, nella verifica, nel superamento dell’ostacolo perchè AUTONOMO anche nella sua individuazione.
Si tratta ovviamente di un percorso che ha bisogno di tempo ed esercizio ma è la chiave (l’autonomia, non lo specifico metodo) per avere tra le mani la CAPACITÀ di IMPARARE. Le percussioni africane (nello specifico le percussioni “dell’orchestra malinkè”) sono semplici nella loro gamma espressiva (hanno dai due ai quattro suoni) ma (possono essere) estremamente complesse nel loro sviluppo ritmico (un po’ come le misure: 1 m = 10 dc = 100 cm etc. …La semplicità di un segmento è fatta di un numero infinito di punti).

…Poi c’è la tecnica : il tamburo “djembe” ha di base 4 suoni; la tecnica è fondamentale per la produzione chiara di questi suoni ed è una ricerca lunga non proponibile in un laboratorio scolastico se non attraverso la sua “tradizione” : la CONSAPEVOLEZZA!

Nello stesso punto del tamburo si trovano due suoni distinti (medio e acuto) : io VOGLIO sentire quel suono e lo faccio !

La tradizione ha, peró, la “particolarità” di vivere in un contesto decisamente influente sull’ “ABITUDINE A …” (da cui l’enorme errore e falsità insita nel luogo comune “ha la musica nel sangue”).

Quattro suoni: grave, medio, acuto, stoppato (si impedisce alla pelle -membrana- di vibrare).

Utilizzando le sillabe ed individuando le vocali come chiave di lettura, in una sorta di solfeggio, i suoni sono rispettivamente tradotti in : cum (o “pom”), pem, pam (o “pim”), cia (o “sa”).

A questo punto ho la consapevolezza di dove (fisicamente, sul tamburo) devo cercare i suoni, e la consapevolezza sonora del suono che devo “cercare” di produrre.

La musica, quindi, diventa prima di tutto una canzone, fatta di parole musicali (ma è divertente trovare parole con significato che sillabicamente rispettino la “melodia ritmica”) dove anche l’intonazione puó essere un elemento di aiuto (strategie di memoria) ma dove l’unico ostacolo vuole essere il rispetto del binario comune su cui fare scorrere il treno musicale : il tempo (il beat).

Sarà quindi la voce a guidare il corpo nella produzione musicale, insegnandoci automatismi e strategie per rendere semplici l’apprendimento e l’esecuzione di “frasi” via via più complesse (la musica diventa -e qui la cultura “Ovest Africana” entra a gamba tesa- una lingua da imparare passo passo, andando a cercare nella parole già imparate la chiave per capire i significati di parole nuove, o conoscere la sintassi per memorizzare una lunga sequenza di dialogo tra due tamburi… Dal metro al decimetro al centimetro alle somme o alle frazioni.

I miei laboratori hanno una durata che normalmente va dai 7 ai 10 incontri da un’ora ciascuno (poco per poter suonare uno strumento musicale mai visto prima!) e può succedere che lo spettacolino finale venga riproposto (live) in differita, qualche mese dopo la fine del percorso, alla festa di fine anno (senza incontri di prova generale con i tamburi, solo una “cantata prima dello show” ).

La consapevolezza di avere tra le mani la chiave (LA VOCE) per vivere positivamente uno spettacolo a mesi dall’ultima prova è come una splendida piuma di Dumbo (e come tanti piccoli Dumbo, lo spettacolo è il momento in cui la penna sfugge ma ci si rende conto che si riesce a volare comunque!)

Quest’anno ho avuto la possibilità di continuare a sperimentare la continuità (quarto anno) nel percorso con gli stessi bambini: li ho visti crescere (in prima il più grande ostacolo è motorio e di organizzazione del corpo…poi viene l’attenzione 🙂 ), osservato lo svilupparsi delle relazione e la formazione dei legami di gruppo (quanto è positivo il CLIMA della classe nel lavoro ???!!!) e quest’anno mi sento di dire che le mie richieste non erano per nulla differenti da come mi pongo nel corso settimanale per adulti !

Ho avuto la fortuna di avere come maestro (in Guinea nel 2001) un bimbo di 11 anni. Si chiamava “Petit” Mohamed, che purtroppo è morto due anni dopo… Oltre ad essere stato un vero insegnante, uno splendido bimbo e un prodigio musicale, mi ha insegnato che i bambini possono tutto ma devono AVERE DECISO! Bisogna che si accenda una scintilla e che l’insegnante (il maestro di Mohamed si chiama Yadi Camara, un formatore appassionato e innamorato del suo “lavoro”) sia sempre pronto a rianimare la scintilla o alimentare le fiamme…  Non per interposta persona ma fornendo gli strumenti perchè possa essere sfamata la fame da legna da ardere (INSEGNARE AD IMPARARE)…

La scintilla puó generarsi solo se la decisione è spontanea, motivata… …CONSAPEVOLE.

Quando si prende una strada che nel tempo si riconosce come funzionale bisogna imparare a gestire la realtà per la quale su quella strada non si è soli…

Credo di avere una grande fortuna nel vivere la gioia del mio (nel senso “del mio piccolo”) essere insegnante, che è usare uno strumento didattico estremamente affascinante e coinvolgente (i tamburi) e l’aver raramente incontrato classi troppo eterogenee…Ma la vera fortuna sta nel tenere “come fari nella notte” le rare volte in cui ho avuto serie difficoltà “ad arrivare in fondo”, perchè mi hanno messo in crisi, e imposto di cercare altre strade…quelle strade cerco di riviverle, ripercorrerle, per poterle riconoscere (o ricordare che comunque ne esistono altre) se il mio comodo sentiero sul prato fosse nuovamente inagibile.

Insomma, ripensando alla mia scuola media sperimentale di fine (tre quarti) anni ’80 in cui si faceva (appunto) sperimentazione “interdisciplinare”, allacciandoci l’esame di antropologia teatrale in cui nello splendido libro “Larte segreta dell’attore” Eugenio Barba parla del passaggio fondamentale per l’attore “da APPRENDERE ad IMPARARE AD APPRENDERE, e Bruno D’Amore che parla di didattica come arte della chiarezza (attenzione alle abitudini che passano per regole!), i bambini ci insegnano che se diamo loro strumenti e materiali, hanno la capacità e la voglia di costruire da sè le chiavi con cui aprire le porte che man mano incontreranno sulle loro strade!

Questo è un video di ripasso (a casa o a scuola 🙂 )

Questo lo spettacolo con una classe quinta

Il metodo mi ingabbia…

…”Cmq, se a volte considero il canto-mani la mia preziosa salvezza per uscire da certe difficol-ta’,e lo sento che e’ una forza, altre invece si trasforma quasi in una ‘gabbia’ dalla quale fatico ad uscirne, col rischio magari di togliere spazio ed energia all’osservazione e all’intuito..senza quella sono persa,e’ giusto?mi sto concentrando troppo su quello e trascuro altro?”

Quello che vi propongo è UN metodo (non IL metodo) che ha come reale obbiettivo l’autonomia (oltre ad essere per me “LA strada” nell’approccio a questa musica e a questi strumenti)…

Attraverso la voce si prende consapevolezza dei suoni e del ritmo perché trasferiti su di un canale espressivo “agevole”…

Ma questo essere agevole, lo è veramente? Lo è sempre e comunque? … Secondo me si (o per quel che mi riguarda, si), ma deve essere di volta in volta modellato e sviluppato (certe frasi veloci possono essere più complicate a voce che sulle mani (e di conseguenza se l’esecuzione è “abitualmente” – o metodologicamente – legata al solfeggio, il rischio è quello di bloccare e non agevolare l’esecuzione, se il cantato non si sviluppa per superare le difficoltà)

…Ma siamo sicuri che senza voce siamo già in grado di “fermare” i suoni che dobbiamo fare?

Sicuramente il metodo (o la modalità) va adattata e “invertita”: quando il lavoro proposto parte dal djembe e non dalla voce, bisogna lavorare al contrario (cercando di essere sempre work in progress – eseguo random mentre cerco piano piano di tradurre in consapevolezza sillabica).

E’ un lavoro che passa attraverso l’esercizio (come ogni cosa, senza esercizio l’assimilazione è moooolto più lunga…anche di un metodo di lavoro) e l’arricchimento del proprio vocabolario musicale (più parole conosco e più posso lavorare per assonanze o similitudini).

…quindi se in certi momenti vi sentite chiuso@ in gabbia, allora è arrivato il momento di lavorare sulla malleabilità del metodo ! Renderlo vostro anche in situazioni non familiari (non abituali) o addirittura ripudiarlo per un eventuale valida alternativa che sentite più vostra !

Gli strumenti di Djembe-ta

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GLI STRUMENTI DI “DJEMBE-TA”

    • DJEMBE :  tamburo a calice con pelle di capra, si suona con le mani.
    • SANG BAN : tamburo cilindrico con pelli di mucca sui due lati, dal tono medio, si suona con un bastone e una campana (per semplificare il percorso questo tamburo verrà suonato con due bastoni, in verticale su di un lato).
    • DUNDUN : tamburo cilindrico con pelli di mucca sui due lati, dal tono grave, si suona un bastone e una campana (per semplificare il percorso questo tamburo verrà suonato con due bastoni, in verticale su di un lato).
    • KENKENI : tamburo cilindrico con pelli di mucca sui due lati, dal tono acuto, si suona con un bastone e una campana (per semplificare il percorso questo tamburo verrà suonato con due bastoni, in verticale su di un lato).KRIN : tamburo di legno cavo , si suona con due bastoni (originario delle zone della foresta).
    • WASSA KOUMBA : sorta di maracas in cui il suono è dato da anelli di zucca.

(per semplificare il percorso questo tamburo verrà suonato con due bastoni, in verticale su di un lato)

  • DJAGBARA : Sorta di “maracas al contrario”.
  • KRIN : Tamburo di legno cavo, si suona con due bastoni (originario delle zone della foresta)
  • CALEBASS : Mezza zucca poggiata su una superficie morbida, si suona con le mani
  • BOTE’ : Tamburo semisferico con pelle di mucca si suona con un bastone e una campana appesa alla mano (per semplificare il percorso questo tamburo verrà suonato con due bastoni, in verticale su di un lato)
  • KAMALE ‘NGONI : arpa liuto a 8 / 10 corde, strumento dei cacciatori.
  • BALAFON : xilofono in legno a 21 tasti con una piccola zucca sotto ogni tasto ( accordata con il tasto, di cui è piccola cassa armonica ) strumento dei “griot” (o “djeli”, cantastorie , portatori della cultura orale).

 

I TAMBURI BASSI NELL’ORCHESTRA TRADIZIONALE DI PERCUSSIONI DELLA REGIONE DI HAMANA

I tamburi bassi sono alla base delle strutture ritmiche in esecuzione e della progressione delle evoluzioni della danza che stanno “accompagnando”.

La ritmica di base su cui si inseriscono gli altri strumenti è il frutto di una poliritmia complessa che si instaura tra le pelli e le campane di DUNDUN, SANG BAN e KENKENI, in rapporto tra loro come in un dialogo continuo fatto di domande, risposte e frasi ridondanti. Le voci dei tre strumenti sono paragonabili per metafora alle voci di padre, madre e bambino , messe in buffa relazione usando lo stereotipo della famiglia chiaccherona:

KENKENI – dalla voce “squillante” è paragonabile al bambino non solo per tonalità ma anche per la “caratteristica” tipica dei bimbi nella “fase dei perchè”: canta ripetutamente e instancabilmente una specifica frase (che riporta melodicamente all’interno del ritmo la regolarità della pulsazione sottostante).

SANGABAN – dal tono “medio” è paragonabile alla madre

DUNDUN – dal tono “grave” è paragonabile al padre

Madre e padre (SANG BAN e DUNDUN) sono in rapporto continuo attraverso una serie ciclica (ma con numerosi elementi di variazione) di domande e risposte che caratterizzano ogni ritmo con una melodia specifica sulla quale entrano in dialogo diretto il “solista DJEMBE” e il/la danzatore/danzatrice (come colori in grado di abbellire le complesse figure tracciate in bianco e nero dai tre tamburi bassi e le loro campane).

VIDEO DI SUPPORTO AL LABORATORIO :

– “Hamana”

http://www.youtube.com/watch?v=R8RK0234DRU

– “Foli”

http://www.youtube.com/watch?v=lVPLIuBy9CY

– “Petit Mohamed”

http://www.youtube.com/watch?v=XekEU5Ao7zA

 

Riflessioni – Djembe-Ta e didattica !?!

DJEMBE-TA (approccio alle percussioni dell’Africa dell’Ovest) e DIDATTICA

… Ultimamente mi piace dire che ho una “mia didattica”, costruita negli anni …

… Ma perché “mia” ?

… Cosa significa realmente “didattica” (almeno come la intendo io) ?

Sicuramente non la intendo “mia” perché la uso io, ma perché mi sono reso conto che, inconsciamente all’inizio e ragionandoci in seguito, uso una sorta di scaletta degli argomenti e costruisco tutto il percorso intorno ad un “prerequisito” o meglio una “modalità di lavoro” (che diventa prerequisito perché chiedo esplicitamente che venga seguita) che ritengo fondamentale (una sorta di “garanzia per il raggiungimento del risultato”, di “propedeutica” al percorso). Ed è proprio la “modalità di lavoro” ad essere il fulcro del “percorso musicale” che propongo, fatto di passaggi consequenziali, punti di riferimento e riflessione.

Un percorso quindi non casuale ma ragionato e strutturato (ovviamente non una struttura rigida ma modellabile sulle specificità).

L’IMPORTANZA DELLA VOCE : La voce rappresenta il passpartout, la presa di consapevolezza, la messa in discussione e la verifica… La voce è la “chiave di volta” in Djembe-Ta. Con la voce abbiamo chiari i suoni e le dinamiche (che ancora il corpo non riesce a riprodurre), abbiamo reale consapevolezza di quello che dobbiamo fare e abbiamo la possibilità di non avere bisogno di suggerimenti o supervisori.

Per poter godere al meglio dei benefici dell’uso della voce, dobbiamo prima di tutto fare i conti con il nostro carattere. Perché nonostante sia il mezzo espressivo che più siamo abituati ad utilizzare (o forse proprio per questo), la voce può diventare una sorta di “specchio del sé”, uno specchio che ci mette davanti a noi stessi, in grado di farci conoscere lati del nostro carattere che inconsciamente occultiamo, o, più facilmente, capace di amplificare le nostre insicurezze e debolezze.

In questo senso Djembe-Ta può diventare una sfida con se stessi (non solo musicale) che bisogna voler affrontare, perché subdola per come si presenta e si palesa (associata a quel conduttore energetico che è la musica): l’importanza dell’uso della voce viene spesso compresa dopo del tempo, tempo in cui il potere della musica d’insieme di affascinare e coinvolgere si trasforma in collante; a quel punto accettare o meno l’eventuale sfida con il proprio carattere si lega alla magia del momento musicale e non accettare quella sfida diventa allora una seconda sconfitta con cui fare i conti.

La tensione dell’insegnante deve essere a quel punto diretta a sostenere una scelta difficile (che può rimanere tra l’altro inconsapevole), e la sensibilità deve essere tale da riuscire ad individuare quei momenti e non fraintenderli o leggerli (con effetti disastrosi) come non voglia o, peggio, come incapacità (che sarebbe un secondo gravissimo errore).

Metodologicamente è importante porsi (e proporre) degli obbiettivi velocemente raggiungibili, procedere a piccoli passi (riconoscibili come traguardi) che diano un senso facilmente leggibile al percorso, che si propongano anche come momenti di appagamento per non permettere all’ego di trovare vie di fuga alle prime difficoltà.

Approcciarsi alla musica in un corso collettivo è la classica medaglia a due facce: da un lato (A) è un cuscino in grado di limare le difficoltà perché emotivamente pieno, dall’altro (B) un cuscino talmente morbido da poter diventare “alloro su cui adagiarsi”.

Questo porta ad una scelta a monte (rispetto all’eventuale sfida con il proprio carattere), che è la classica linea che separa il passatempo dalla passione: quale dei due lati della medaglia mi appaga di più?

– lato B : all’arrivo delle inevitabili difficoltà relativamente grosse sarà facile l’abbandono.

– lato A : più grosse saranno le difficoltà più sentito sarà l’aiuto che si trova nel gruppo e nella consapevolezza del percorso intrapreso.

Purtroppo con l’allievo “B” c’è poco da fare, la guerra col gusto è una guerra persa…ma l’allievo “A” deve a quel punto smettere di essere una semplice lettera (“A”) e tornare ad avere un nome per essere seguito nelle sue specificità, perché sarà quello il momento in cui si finisce di leggere l’introduzione e comincia la vera avventura (lo svolgimento, la narrazione) !!

Introduzione : Fascino – Emozione – Difficoltà – Consapevolezza – Decisione

Svolgimento  : Emozione – Difficoltà – Emozione – Superamento delle difficoltà

Una volta scelto il lato della medaglia, il percorso è fondamentalmente costruito su due binari :

1 : studio del linguaggio (costruzione del vocabolario e importanza delle “frasi fatte”, pause, accenti, montaggio del discorso, coerenza espressiva, attenzione agli interlocutori, etc…)

2 : sviluppo della tecnica espressiva (ricerca dei suoni, indipendenza degli arti, lavoro sulla velocità, sulla forza, sulla leggerezza, etc…) …

…ma questa è una storia che si scriverà in seguito…

Schematizzando:

LA DIDATTICA di DJEMBE-TA

PROPEDEUTICA (1,2) – PASSO PASSO (3,…)

1 : VOCE AL CENTRO DEL LAVORO – esercizi per impadronirsi del linguaggio : rapporto sillabe/suono

2 : PENSIERO / ELABORAZIONE / AZIONE : la mente, attraverso la voce, muove ed educa il corpo – esercizi di educazione alla sinergia

3 : MUSICA COME LINGUAGGIO / FORMAZIONE DEL “DATABASE” / TECNICA COME POTENZIAMENTO DEL CANALE ESPRESSIVO – esercizi per impadronirsi del linguaggio : cellule che ritornano – esercizi per impadronirsi del linguaggio : inversione di vocali – esercizi per impadronirsi del linguaggio : cambia l’accento cambia il rapporto con la pulsazione – esercizi per impadronirsi del linguaggio : stesso accento ma diverso rapporto con la pulsazione – esercizi per impadronirsi del linguaggio : il montaggio – esercizi per impadronirsi del linguaggio : il gioco delle pause / salto di cadenza

4 : POLIRITMIA / INDIPENDENZA NELL’ASCOLTO – esrcizi di poliritmia : ascolto le parti comuni – esrcizi di poliritmia : imparo ad ascoltare l’interpretazione delle pause (imparo ad ascoltare cosa fanno gli altri durante le mie pause) – esrcizi di poliritmia : consolido l’indipendenza della pulsazione comune (ascolto il dialogo per poterne seguire le evoluzioni ma non mi faccio condizionare nella coerenza con la pulsazione)

come al solito work in progresssssss

Katina e Bruno Genero

Ritmi e danze afro con Katina e Bruno genero :

Considerazioni a confronto:

I ricordi, le emozioni … e le impressioni legate al solo aspetto didattico/pedagogico.

Ho incontrato l’ultima volta Bruno e Katina (a parte incontri di 5 minuti) almeno 6/7 anni fa, e ne ho un ricordo limpido: estremamente professionali, decisamente riconoscibili nel loro lavoro…BRAVISSIMI !!

Ma …

…Un ricordo che, in quanto ricordo, riguarda qualcosa di legato alla mia realtà di allora, alla mia percezione di allora, al mio punto di vista di allora… Vivevo di sapori e colori forti ma non avevo ancora la “capacità” di riconoscere “forza nella dolcezza”, il mio punto di vista era più legato al gusto che alla consistenza, più al suono delle parole che al loro significato…

O forse, più semplicemente, cercavo altro, perchè non nacque in me un’emozione abbastanza forte da poterli apprezzare fino in fondo…avevo capito il valore di Bruno e Katina, si, ma me ne sono reso conto solo negli anni.

Potrei dire di essere stato un allievo “modello” di Bruno, nel senso negativo del termine (non ho fatto mio il metodo di studio che proponeva)… Allo stesso tempo ho chiare nella mia mente diverse sue parole, sue frasi – in lingua musicale e soprattutto parlata – che, spesso per superare ostacoli, sono state per me preziosissime, ma che “mi sono venute in soccorso”, non me ne sono “subito impossessato” per crearmi delle fondamenta solide (non dico che questo sia un errore, esistono tanti approcci diversi alla percussione africana, tutti (?) legittimi, ma una considerazione si).

Insomma oggi, al netto delle mie esperienze, dei miei ragionamenti e della mia personale ricerca sulla didattica (ed è questo aspetto che mi interessa di più in questo momento e che allora non c’era), rivedere Katina e Bruno al lavoro è stata una esperienza decisamente piena (formativa, illuminante, emozionante, rivelatoria !) che conferma i miei ricordi ma che li svincola dal “giogo del gusto”.

GUSTO vs EFFICACIA

Del momento espressivo si “valuta” prima l’insieme e poi eventualmente il singolo, e l’ambito coinvolto è principalmente quello emozionale e del GUSTO (assolutamente personale e insindacabile)…si puó riconoscere la bravura dei singoli ma non apprezzarne il risultato d’insieme (perchè lontano, appunto, dal proprio gusto)…la performance rimarrà chiara nei ricordi solo se sarà riuscita a toccare il lato emozionale e soggettivo del fruitore.

Dell’insegnamento si valuta l’EFFICACIA della didattica vista prima nel suo insieme e poi negli aspetti che la compongono…solo alla fine si può mettere attenzione al lato espressivo.

Un virtuoso non automaticamente sarà un buon insegnante, soprattutto se non sarà in grado di rendere leggibili i suoi virtuosismi o ancora peggio se non si renderà conto che possono portare la comprensione ad essere ancora più difficile. Durante un momento in cui la danza è l’oggetto di studio, eccessi della musica (magari proposti come stimoli energetici), se non ben dosati, avranno il negativo effetto di spostare l’attenzione degli allievi sulla musica e far perdere l’aspetto narrativo faticosamente intessuto dall’insegnante.

L’essere insegnante e l’essere artista (nel momento espressivo del termine) sono due cose distinte:

– l’insegnante deve concentrarsi su degli obbiettivi da far raggiungere a tutti, cercando strategie inclusive e intervenendo molto sul proprio e l’altrui carattere, il tutto condito da un grosso lavoro sulla chiarezza espositiva e sulla gestione delle energie.

– Il “momento espressivo” è fatto di tecnica, anch’esso di gestione delle energie e personale visione della musica (o della danza), il tutto condito (ma non per forza) da una giusta connessione con il pubblico.

Ovviamente il gusto ha eguali diritti di entrare nel ragionamento attraverso il quale si arriva ad una valutazione su quello che si incontra, ma DEVE avere un peso diverso.

…insomma, voglio essere ancora più diretto ed esplicito: se i passi di danza proposti non rispecchiano il proprio gusto ma fanno raggiungere l’obbiettivo di lavorare, ad esempio, sullo spazio, sulla gestione del lato destro e sinistro del corpo piuttosto che proposti come coreografia che gradualmente va a “riscaldare” determinati muscoli o articolazioni, allora il gusto NON puó avere peso, perchè se lo avesse significherebbe non aver colto l’importanza della didattica proposta.

La connessione evidente, armoniosa e assolutamente positiva e proficua tra Bruno e Katina è quasi impressionante…sembrano prendere le stesse decisioni (nella gestione delle energie, dei tempi, delle dinamiche ..) senza nemmeno incrociare gli sguardi… Sono sempre padroni degli eventi e la tensione creativa è evidentemente il loro faro guida !!

EMOZIONE
Penso che le emozioni – e la loro interpretazione – siano alla base del lavoro di Katina e Bruno… Perchè le emozioni (reali o “richiamate”) sono la sola cosa in grado di rendere espressivo un movimento…è che bisogna saperle non solo interpretare, ma anche provocare o ricercare…mettersi nelle condizioni per poterle recepire e veicolare…condizioni mentali e fisiche, assolutamente “extraquotidiane” (vedi antropologia teatrale Barba-Savarese) che per realizzarsi hanno bisogno di una solida tecnica che possa sorreggerle.
I miei occhi vedono qui la forza (e quindi l’efficacia) del lavoro di Katina e Bruno: proporre un percorso in cui la direzione è chiaramente quella volta al raggiungimento di una propria espressività attraverso la danza (e l’utilizzo di un linguaggio transculturale); una strada tortuosa, assolutamente non falsa o omissiva, fatta di sacrificio, fatica, concentrazione e PASSIONE !!! Una strada assolutamente non comoda in grado peró di creare la tensione giusta per costruire i presupposti (proporre delle TECNICHE) per una propria ricerca espressiva sorretta da consapevolezze fisiche e mentali che la rendono immune da ovvietà (se non dovute alla eventuale ovvietà personale, ndr. ).

Bruno e Katina sono due interpreti di un proprio linguaggio nato da profonde riflessioni e ricerche, incontrarli è una importante occasione di crescita, riflessione, sfida con se stessi … Incontrarli è poter essere presi per mano e accompagnati in un mondo “altro”, fatto di diversi mondi e culture, ognuna rispettata nella sua dignità, ma tutte fuse in una sintesi, che potrebbe essere tradotta in linguaggio verbale con una parola composta (che racchiude il mio punto di vista sui – mi perdoneranno la metafora da papà di bimbo di 4 anni – “gemelli Derrik”- cit. Holly e Benji- dell’Afro e che fusa in una parola sola genera un aggettivo assolutamente calzante) : quasta parola è GENERO-SI.

Katina e Bruno propongono secondo me la costruzione di un’impalcatura o scheletro vitale che possa sorreggere “l’essere espressivo” che è in noi… Un messaggio questo che veicolano attraverso il proprio linguaggio e la propria sensibilità espressiva.

Chiudo con una frase che devo dire mi piace molto e che non so chi abbia pronunciata (magari nessuno) ma credo possa raccontare Katina (per Bruno probabilmente vale allo stesso modo, anche senza sostituire “danza” con “musica”) :

“tutto è narrazione, tutto è danza, tutto è passione… e gioia della sua espressione”

P.s. Come al solito sono work in progress, probabilmente queste riflessioni saranno integrate rilette e riviste, ma ovviamente il succo non cambierà